Non avrei mai pensato di vivere un’esperienza così forte e profonda come dormire in un monastero giapponese circondato da tuniche arancioni.
Osservare in silenzio la vita semplice e autentica dei monaci, in un luogo sacro circondato da montagne.
Mi piace pensare che sia stato il destino.
Mi trovavo in un minuscolo bar di Tokyo stretto tra i grattacieli e la metropolitana di Shimbashi, un labirinto di stradine che di sera profuma di ramen e sakè.
Nuvole di fumo uscivano dalle cucine dei ristoranti, le insegne al neon illuminavano giovani vestiti uguali che camminavano confusi seguendo il rumore delle sale di pachinko.
Seduto al bancone del bar, stavo aspettando il mio piatto di Yakitori, dei deliziosi spiedini di pollo, mentre osservavo il cameriere servire con eccessiva devozione due salaryman decisamente ubriachi.
Asakusa – uno dei miei quartieri preferiti di Tokyo
Poco distante, due ragazzi seduti al tavolino continuavano a guardarmi e a ridere.
Non sapevo se stessero ridendo di me oppure no, ma non importava, avrei scambiato volentieri due chiacchiere con loro.
Mi piace parlare con la gente del posto, c’è sempre qualcosa da scoprire.
Sapevo della riservatezza dei giapponesi, del loro essere timidi ed educati, e sapevo che difficilmente avrebbero parlato con me, un Gaijin, uno straniero.
Quando incrociai nuovamente i loro sguardi, alzai la mia Asahi ed esclamai un buffo “Kampai”.
Dico buffo perché tutto il bar scoppiò a ridere.
Fu allora che i due ragazzi si avvicinarono e iniziarono a parlare.
Amici giapponesi al bar
Non ci pensai due volte e li feci accomodare accanto a me, poi ordinai altre birre al cameriere indaffarato.
Parlavano un inglese difficile da capire, forse per via dell’alcool, un’autentica passione per i giapponesi, ma provai lo stesso a raccontargli il mio viaggio nella loro terra.
Era divertente osservare i loro volti sorpresi quando pronunciavo una qualsiasi città e ascoltare i versi che facevano.
Dicevo “Kyoto” e loro “Ohhhh“.
“Osaka” e loro “Ahhhh“.
Sembravano genuinamente colpiti.
Provai a domandare se conoscessero qualcosa di unico che avrei dovuto fare in Giappone.
Si guardarono un momento perplessi, poi risposero confusamente “Karaoke” e “Koyasan”.
Di Karaoke neanche a parlarne, non sono portato per cantare, invece annotai il nome del posto sopra un tovagliolino di carta.
Non vedevo l’ora di tornare in hotel per fare qualche ricerca in più, sicuro di aver trovato l’indizio che stavo cercando.
Lanterne fuori da un tempio
Koyasan
Patrimonio Unesco dal 2004, Koyasan si trova tra le verdi montagne del Kansai, ad un paio d’ore di treno da Osaka.
Non sono molti quelli che si spingono fin lassù.
Dopo il treno bisogna prendere una funivia e proseguire con il bus fino alle porte della città, poi camminare per l’ultimo tratto tra casette ordinate e antichi monasteri.
Koyasan è una località sacra per il buddismo giapponese, è composta da quasi settemila persone e la metà sono monaci.
Rimasta chiusa al turismo fino al XX secolo, in città è ancora diffuso lo Shubuko, l’antica ospitalità riservata ai pellegrini e oggi alla portata di chi vuole scoprire qualcosa di più sulla cultura giapponese.
Un’occasione da prendere al volo.
Koyasan – Cimitero Okunoin
Koyasan è immersa in una fitta foresta che profuma di cedro, un posto incredibile dove natura e leggenda si fondono insieme.
Soprattutto nel cimitero Okunoin, nella parte est della città.
Qui si narra che Kobo Daishi (774-835), il padre del buddismo giapponese, continui la sua meditazione ogni sera seduto sulla roccia posta accanto al suo mausoleo.
Un luogo di culto molto amato e rispettato dai giapponesi.
Il cimitero non chiude mai, lo si può visitare sia di giorno che di notte, da soli o aggregandosi a uno dei numerosi tour prenotabili in città.
Emana un’aurea di mistero con la luce del sole, ma da il meglio di sè quando cala la sera.
Passeggiare immerso nel silenzio, tra l’odore della foresta e le luci traballanti delle candele, con le statue che proiettano ombre inquietanti sul sentiero di pietra, rende tutto più forte, più vero, più suggestivo.
Un’esperienza incredibile sospesa tra il magico e lo spettrale, difficile da raccontare se non avete mai passeggiato in un cimitero di notte.
Dormire con i monaci
Dopo il tour serale al cimitero, tornai al monastero appena prima che i monaci chiudessero le porte per la notte.
La regola è semplice: o torni quando dicono loro, o chiudono le porte e stai fuori. E niente discussioni.
Compreso nel prezzo della stanza, c’era la cena vegana preparata dai monaci, una serie di tazzine e coppette disposte con un ordine e una tale precisione da sembrare un’opera d’arte.
Assaggiai Loto grigliato e fiori colorati, del Tofu speziato con wasabi e una calda zuppa di Miso.
Ritonai nella mia semplice abitazione, indossai il kimono in dotazione e mi preparai mentalmente per passare una notte sdraiato sul Futon, il tradizionale letto giapponese, praticamente per terra.
Quando bussarono alla mia porta, la mattina seguente, l’orologio segnava le 5.00.
Era il monaco che invitava gli ospiti alla preghiera mattutina.
Fuori pioveva a dirotto.
Indossai rapidamente il kimono e seguii la tunica arancione a piedi nudi lungo il parquet scricchiolante.
Attraversammo un curatissimo giardino di bonsai ed entrammo nel tempio, dove altri monaci stavano finendo di preparare l’occorrente per la cerimonia.
Altri ospiti ci raggiunsero. Una decina di persone in tutto, monaci compresi.
L’atmosfera era intima e riservata.
Seduto sulle panche del tempio, osservai i preziosi intagli dei bauli di legno scuro e l’oro delle statue donate dai fedeli.
Doveva essere un tempio importante visto che c’era stato anche l’imperatore del Giappone in persona, una trentina d’anni prima, come ricordavano le foto esposte con orgoglio sulle pareti in carta di riso.
Quando calò il silenzio il monaco più anziano iniziò la preghiera.
Una ipnotica cantilena che si intrecciava con le voci degli altri monaci creando un’atmosfera sacra e solenne.
Chiusi gli occhi e restai in silenzio.
Il profumo dell’incenso si mischiava con l’odore di erba bagnata del giardino alle mie spalle, la pioggia incessante pareva accompagnare a ritmo la preghiera.
Mi sentivo perso in un’altra dimensione, lontano dal mio mondo.
Una sensazione che non avevo mai provato prima.
Era questo il Giappone che stavo cercando?
La potente vibrazione del gong mi riportò alla realtà.
Era arrivato il mio momento.
Il monaco più anziano mi stava aspettando con un bastoncino d’incenso in mano.
Con le mani giunte al petto, feci un profondo inchino e accesi l’estremità del bastoncino, incastrandolo nella sabbia insieme alle preghiere degli altri.
Un’emozione fortissima mi attraversò tutta la schiena.
Ho chiesto di poter tornare.
Ho chiesto di poter rivivere ancora tutte le emozioni uniche di un viaggio in Giappone.
. . .
Descrivere a parole quello che ho provato a Koyasan non è facilissimo, ma à stata senza dubbio una delle esperienze più belle del mio viaggio in Giappone.
Se volete vivere anche voi questa fantastica emozione, di seguito vi lascio il link del monastero dove sono stato.
Colazione, cena e preghiera mattutina inclusi nel prezzo, la camera è semplice e in stile giapponese, dove si dorme in un futon.
A Koyasan i monasteri che propongono queste attività sono molti e per tutte le tasche, il mio è stato favoloso ma potrai trovare quello che meglio si adatta alle tue esigenze.
Non perdere questa occasione!
Sayonara.
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