Storie da una Milano che non c’è più
Milano è una città che non perdona.
Non c’è spazio per i pigri o per chi ha poca voglia di fare. Hai bisogno di uno stipendio e devi averlo subito.
Vivere costa caro, gli affitti sono alle stelle e i ritmi sono frenetici.
Per avere un’idea basta prendere la metropolitana nell’ora di punta o fermarsi per un caffè al bancone di un qualsiasi bar.
Sono tutti tesi, nervosi e con poca voglia di scherzare. Specialmente il lunedì mattina.
Milano rappresenta per l’Italia quello che New York significa per gli Stati Uniti.
Una città ambiziosa, iperattiva, dove è possibile realizzare i propri sogni.
Tempo fa migliaia di persone attraversarono l’oceano atlantico a bordo di una barca per rincorrere il sogno americano, oggi molti ragazzi da tutta Italia raggiungono Milano con la stessa speranza.
Ma Milano non è la Grande Mela.
Il milanese vero è una specie rara e in via d’estinzione, soppiantato da quella seconda generazione di milanesi nata dopo il grande esodo dal sud.
Anche Michele era uno di questi.
Camminava solitario tra le ombre degli alberi avvolto nel suo cappotto di flanella nero, con il bavero alzato per proteggersi dal freddo intenso della sera.
Non era stata una bella giornata.
Ai problemi sul lavoro si era aggiunta anche una vivace discussione a casa, che lo aveva portato a scendere in strada per smaltire il nervoso.
A Michele piaceva camminare per Milano a fine autunno, quando le foglie ingiallite degli alberi restituivano un po’ di colore al grigio della città.
Una nebbiolina sottile si alzava dalla strada bagnata confondendo il paesaggio e le luci dei lampioni.
Attraversò a passo svelto l’incrocio tra viale Corsica e via Battistotti Sassi, nell’estrema periferia est di Milano, in quella zona senza nome stretta tra la fine di Città Studi e il parco Forlanini, lungo il vialone che collega l’aeroporto di Linate con il centro.
Quelle strade che un tempo erano d’ispirazione per Jannacci e le sue canzoni.
All’altezza di quell’incrocio suo padre non mancava mai di ricordare l’odore di panettone che si diffondeva per tutto il quartiere durante le feste, quando al posto dell’attuale supermercato c’era la fabbrica della Motta.
Se lo immaginava fuori dal cancello in compagnia dei suoi amici ad aspettare che qualcuno gli regalasse i dolci venuti male e non conformi alla vendita.
Quella storia l’aveva ascoltata mille volte, quasi da riuscire a sentire anche lui la dolce fragranza.
Cambiamenti
Spingendo a fondo le mani nelle tasche attraversò a passo svelto piazza Grandi con la sua fontana, solitaria a quell’ora, e proseguì spedito verso la fermata del tram che una volta si trovava di fronte alla storica discoteca Rolling Stones.
Michele ricordò con malinconia le feste del liceo, i concerti che aveva visto, e persino il treno che sbucava dall’enorme finestra centrale quando era più piccolo.
Un pezzo di storia della città inghiottito da un anonimo palazzone di cemento grigio e male illuminato.
Si rese conto che tutta la città stava cambiando velocemente, e lui faticava a starle dietro.
Un suo amico milanese, uno dei pochi che conosceva, gli aveva detto che una volta i palazzi della città non potevano essere più alti della Madonnina posta sul Duomo.
Per ovviare al problema, i milanesi realizzarono una riproduzione della celebre statua che spostano di volta in volta sulla cima del palazzo più alto della città.
Adesso dovrebbe trovarsi in cima alla Torre Isozaki, nel nuovissimo quartiere CityLife, secondo quanto gli aveva detto l’amico.
Attese il tram qualche minuto, finché lo vide comparire dalla nebbia.
Mentre alcune cose sparivano per lasciare spazio al progresso, altre resistevano faticosamente allo scorrere del tempo, proprio come i tram.
Un altro simbolo di Milano.
Nel tipico colore giallo, dall’inizio del Novecento collegavano la città con le periferie.
Ancora oggi quell’elettrico ammasso sferragliante sembrava l’unica soluzione ai problemi di smog e traffico della città.
Michele adorava i tram.
Si sedette sui sedili arancioni in fondo, coccolato da quell’ipnotico rumore e dal riparo che offriva contro il freddo, e si lasciò trasportare fino a destinazione.
Non aveva ben chiaro dove volesse andare.
Aprì il cappotto e rimase a guardare dal finestrino l’obelisco di Piazza Cinque Giornate, le imponenti mura asettiche del Palazzo di Giustizia e la strana luce dei nuovi lampioni a led che rendevano l’atmosfera ancora più fredda e sinistra.
Pensò alla sua situazione e si rispecchiò nella sua stessa città, divisa tra passato e futuro.
Avrebbe dovuto compiere una scelta importante, ma stava aspettando il momento giusto.
Non sapeva che il momento giusto non sarebbe mai arrivato.
Scese a due passi dal Duomo e attraversò la piazza silenziosa, affollata più da piccioni che da persone.
Osservò di sfuggita la Madonnina illuminata e le rivolse un sorriso.
S’infilò di sfuggita all’interno della Galleria per cercare un riparo dal freddo, ma si dimenticò del problema semplicemente alzando lo sguardo.
L’elegante architettura in ferro e vetro della galleria, i suoi mosaici allegorici, l’enorme cupola centrale dal disegno raffinato riuscivano ogni volta a sorprenderlo.
Decise di fermarsi sulle panchine davanti a piazza della Scala, sotto al monumento di Leonardo da Vinci.
Aveva sempre amato quella piazzetta.
Gli alberi che circondavano la statua centrale gli donavano una tranquillità anomala, eleganti palazzi sorgevano tutt’intorno e i vecchi tram che passavano davanti al sontuoso teatro del 700, vanto della città e dell’intero paese, sembravano trasportarlo in un’altra epoca.
Stretto nel suo giaccone, intorpidito dal vento umido che soffiava costante e leggero, perso nei suoi pensieri che si confondevano con la nebbia di Milano, Michele prese la sua decisione.
Da quella sera la sua vita non sarebbe stata più la stessa.
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