Salvador de Bahia
È mezzanotte, il cielo si accende di fuochi dai mille colori.
Le onde dell’oceano si infrangono sulla spiaggia bagnandomi i piedi.
Quest’anno il Capodanno mi ha raggiunto a Salvador de Bahia.
È strano festeggiare il nuovo anno in costume, ma qui siamo nel bel mezzo dell’estate brasiliana.
Alzo al cielo il mio bicchiere di cachassa per brindare.
Intorno a me la spiaggia è piena di gente che balla e si diverte come solo gli abitanti di Bahia sanno fare.
Si dice che il carnevale di Salvador sia uno dei più belli di tutto il Brasile.
Tutti guardano verso il cielo, solo io resto a guardare il mare.
Guardo alcune ragazze avvicinarsi alla riva a piedi nudi, avvolte nel bianco dei loro vestiti, e lanciare una rosa nell’acqua scura che hanno davanti.
In quella rosa hanno riposto tutte le loro speranze, i loro sogni, le loro preghiere e adesso le affidano all’oceano, in omaggio a Yemaya, la regina del mare.
Sono venuto qui per questo.
Non a Rio, non a San Paulo o nella paradisiaca Jericocoara, ma proprio a Salvador, dove gli abitanti si affidano ancora a quell’antico culto che prende il nome di Candomblè.
Volevo vedere con i miei occhi se tutte le storie che avevo sentito fossero vere.
Volevo scoprire se questa religione fosse ancora praticata ai giorni nostri e come riusciva a integrarsi in una cultura fortemente cattolica come quella brasiliana.
Sono partito alla ricerca di qualcosa di mistico, di spirituale, che spesso valica il confine della magia.
Mi è bastato poco per capire che a Salvador è tutto diverso.
La gente che incontro per la strada è amichevole, mi saluta con un largo sorriso e continua a fissarmi mentre mi allontano, facendomi sentire un po’ a disagio.
Non fatevi ingannare. Non sto dicendo che Salvador sia una città sicura.
Il mio tassista, dopo le dieci di sera, non si fermava ai semafori rossi(neanche a quelli più pericolosi) per paura di essere affiancato da qualche malintenzionato.
Stessa cosa con alcuni autisti di Uber che, preoccupati, aspettavano che seguissi il loro consiglio di prendere la strada sicura sulla destra, e non quella che si perdeva nel buio alla sinistra della stessa piazza.
Con la luce del sole la città si trasforma e ritorna allegra e colorata come lo spirito dei suoi abitanti.
Non è un caso che il New York Times abbia inserito Salvador de Bahia nella sua lista annuale delle migliori destinazioni di viaggio del 2019.
Un riconoscimento importante arrivato ben 23 anni dopo l’enorme successo ottenuto da Michel Jackson con il suo singolo “Nobody care about us” girato tra due ali di folla per le strade della città.
Dopo l’uscita del video, Bahia registrò un picco nel turismo, cosa che con tutta probabilità si verificherà anche quest’anno, dopo che la rivista l’ha posta in cima alla sua classifica.
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Salvador, il centro storico
Passeggiando per le stradine ciottolose del Pelourinho, il centro storico di Salvador dichiarato patrimonio Unesco nel 1985, si respira l’anima coloniale della città.
I colori pastello delle case, i preziosi azulejos e le raffinate incisioni dell’antica chiesa di Sâo Francisco, con i suoi dorati interni barocchi, mi ricordano l’atmosfera tipica di alcune città portoghesi.
Appena fuori dalla chiesa vengo attratto da una statua raffigurante una donna bahiana in abiti tipici, con una gonna fatta di sottili braccialetti colorati che si muovono al vento.
Sono le Fita do Bonfim , braccialettini di seta lunghi 47 cm come la lunghezza del braccio destro di Cristo.
Tutti i bahiani ne portano uno legato con tre nodi al polso, al quale affidano i propri sogni e le proprie preghiere.
Secondo la tradizione popolare ad ogni colore corrisponde un potere differente.
Mi rendo conto che i colori sono sette, proprio come le principali divinità del Candomblè.
Ma forse sono solo suggestioni.
Verso la fine del 1500 Salvador divenne la capitale nera del Brasile.
Un milione e mezzo di schiavi furono prelevati in catene dall’Africa e costretti a lavorare nelle diverse piantagioni della zona.
Con loro arrivò anche il culto di quell’antica religione.
Mi piace questa doppia anima di Bahia.
Questo stare in equilibrio tra sacro e profano, tra leggenda e tradizione, tra verità e mito.
Nella sua celebre “Samba de Bendición”, il cantante Carlos Lyra descrive il samba così:
“Il Samba è nato a Bahhia, è bianco come la poesia ma è nero nel corazón”.
Credo che non esistano parole migliori di una vecchia canzone per trasmettere lo spirito degli abitanti di Bahia.
Bahia
Stavo aspettando il mio caffè seduto al tavolino di legno del bar, ammirando un vecchio telefono a gettoni appeso alla parete, quando qualcosa catturò la mia attenzione.
Affacciate alla finestra della casa di fronte, alcune bambole dallo sguardo assente se ne stavano immobili a fissarmi. La cosa mi inquietava un pochino.
Approfitto del caffè per chiedere alla cameriera maggiori informazioni.
Disse che servivano a proteggere la casa.
Da che cosa non lo ha specificato, comunque qualcosa che non avrei potuto capire.
A dire il vero non stavo neanche più ascoltando, rapito com’ero dal suo bel sorriso e da quegli occhi grandi e luminosi.
Per fuggire dal caldo estivo di Bahia, mi rifugio in un negozio di antiquariato attratto da vecchie bottiglie di vetro con dentro dei granchi.
Non so a cosa servono o perché sono lì.
Non so nemmeno come hanno fatto a far passare un granchio dentro il collo della bottiglia.
La commessa sembra conoscere più storie dei libri polverosi che aspettano immobili sopra la cassettiera malandata.
Misteriose maschere di legno scuro con il volto scavato sono appese alle pareti.
Mi spiega che le bottiglie vengono tagliate sul fondo per inserire l’animale, richiuse e riempite di cachassa, che con il tempo acquisisce poteri miracolosi.
“Così quando bevi il liquore guarisci!”
Lo dice così convinta che non rispondo, non so proprio cosa dire.
Soprattutto dubito che la dogana mi faccia passare con quella bottiglia, così acquisto una maschera, la saluto ed esco dal negozio.
Il tramonto nei pressi del Farol de Barra è un must di Salvador.
Ogni sera centinaia di persone si riuniscono ai piedi del faro per guardare il sole scendere sull’oceano.
Richiamato dalla lavagnetta che promette la miglior caipirinha di Bahia, mi siedo al tavolino di un bar e osservo.
Sono le donne il vero motore del Brasile.
Sono loro che fanno girare il paese.
Gli uomini preferiscono stare a guardare seduti sul muretto del lungomare.
Al chiosco vicino alla spiaggia, immerse tra spezie e nuvole di fumo, sono due donne che preparano l’Acarajé, il piatto forte di Bahia, una squisita polpettina di verdure e gamberetti simbolo della città.
Cucinano in meravigliosi abiti tradizionali e portano i capelli raccolti da una fascia colorata.
Donna anche la signora che mi ha preparato la famosa Agua de Cocco, altra delizia del Brasile, che sembrava minuscola rispetto al coltello che teneva in mano.
Sempre donne quelle che leggono il futuro ai bordi della strada.
Mi avvicino a una di queste.
Non ci credo ma voglio provare.
Sul tavolino sono sparsi vari oggetti, tipo collanine, pietre preziose e diverse monete.
Un bastoncino d’incenso sta bruciando di fianco al bicchiere d’acqua.
La signora accende una candela e sussurra qualcosa d’incomprensibile verso il cielo, poi fa cadere una manciata di conchiglie bianche che si disperdono a caso sul tavolo.
Mi legge il futuro.
Resta abbastanza sul generico, credo che dica le stesse cose a chiunque.
Poi lancia un po’ di sale dietro la mia spalla sinistra per scacciare qualcosa che non ho afferrato. Finalmente potevo andare.
Bahia è cosi: Splendide ville sull’oceano recintate da filo spinato.
Un paradiso per pochi eletti che credono ancora ai sogni e alla magia.
Una magia che avvolge la città e i suoi abitanti, che sorprende con la bellezza delle sue spiagge e la meraviglia dei suoi tramonti.
Allegra come il suono dei tamburi che riecheggia nell’aria e triste come la poesia dei suoi palazzi fatiscenti dai colori sbiaditi.
Si dice che la magia è ovunque se sai dove guardare…
E come per incanto il mio cuore è rimasto intrappolato nel retro di un bar del Pelourinho, seduto all’ombra di una terrazza con una cerveja gelada in mano, mentre guardavo l’orizzonte infinito davanti a me.
Grazie Salvador per avermi insegnato che la vita non è solo bianco e nero, che non esiste solamente una via giusta, che le differenze sono importanti ma non devono essere un motivo di scontro.
Che la vita si nasconde nelle sfumature dell’oceano, nel colore della pelle dei tuoi abitanti, nelle credenze popolari e nella fede incrollabile dei brasiliani.
Torno a casa, torno alla mia realtà lasciandomi dietro un po’ di polvere di stelle, le stesse che brillano sulla bandiera del Brasile.
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