Sono appena ritornato dalla Birmania, un paese stupendo che suggerisco a tutti di vedere almeno una volta nella vita.

Alcuni di voi ci sono già stati, per altri è in cima alla lista dei desideri mentre qualcuno non ne ha mai sentito parlare.

E’ un paese che ha tanto da offrire e da insegnare a chiunque che avrà la fortuna di calpestare le sue verdi terre, di perdersi tra i mille templi di Bagan o passeggiare al tramonto sotto le luci dorate della meravigliosa Shwedagon Pagoda di Yangon.

Ma è un paese che ha ancora tanto da imparare.

L’inglese, ad esempio, resta un grosso problema per una buona parte della popolazione anche se questa mancanza è compensata da una gentilezza fuori dall’ordinario, alle volte quasi eccessiva ma sempre ben accetta.

Questo è uno dei ricordi più belli che porterete via dal Myanmar.

E tanto deve ancora imparare sotto il profilo dei diritti umani, nonostante l’attuale leader politico in carica sia una certa Aung San Suu Kyi, importante attivista e premio Nobel per la Pace nel 1991.

 

La leader della Lega Nazionale per la Democrazia è riuscita a riportare le elezioni libere in un paese oppresso da una dittatura militare lunga più di cinquant’anni e che continua ad avere ancora oggi  un ruolo controverso nella guida del paese.

Anche la Lonely sconsiglia di parlare di politica con i locali, meglio limitarsi a bere qualche Myanmar Beer o mangiare in uno dei numerosissimi mercati presenti per strada.

Ma in questo momento non posso parlare del Myanmar senza pensare al massacro che sta avvenendo al confine con il Bangladesh contro il popolo Rohingya, una minoranza musulmana considerata dalle Nazioni Unite come una delle più perseguitate al mondo.

Violenti scontri sono ripresi proprio questa estate lungo la linea di confine, dove l’esercito birmano ha rastrellato i territori lasciando per terra circa 400 civili Rohingya.

Quel giorno stavo facendo colazione in un hotel di Yangon.

Chiesi maggiori informazioni alla reception, convinto di non aver capito bene la notizia riportata dalla Bbc.

Senza mostrare il benché minimo sentimento, il giovane ragazzo rispose che non c’era assolutamente nulla di cui preoccuparsi, perché quegli scontri avvenivano spesso ma in una regione lontana e comunque non aperta al turismo.

Provai un forte senso di impotenza. 400 civili non sono pochi.

Anche la giovane pakistana Malala Yousafzai, altro Premio Nobel per la pace, ha ripreso le parole del ministro degli esteri britannico rivolgendo un accorato appello alla collega birmana.

 

Dal canto suo Aung San Suu Kyi ha risposto alle critiche sostenendo le azioni della giunta militare, che sta “combattendo il terrorismo” in base alle sue parole, aggiungendo che c’è molta disinformazione in merito alla faccenda.

Ora io non so dove si nasconda la verità su questa storia, su chi abbia ragione e chi no, e sinceramente non sono neanche quello giusto per dare la soluzione.

Credo però che un riconoscimento come il Nobel, specialmente quello per la pace, sia qualcosa di importante di cui andare fieri.

Qualcosa a cui non ti puoi preparare, ma per la quale vieni scelto.

Un po’ come Peter Parker quando viene morso dal ragno.

Non lo ha deciso lui ma ora deve fare Spiderman, essere Spiderman.

Da grandi poteri derivano grandi responsabilità” diceva il saggio zio Ben, e questo non vale solo per l’Uomo Ragno.

#saverohingya